Commissione Parlamentare su Banche, Capitolo I: Popolari Venete
Nel clima teso che caratterizza l’attuale contesto politico, spicca per asprezza il tema delle banche, che ha visto di recente scendere in campo la commissione d’inchiesta. L’obiettivo è fornire risposte definitive non solo ai risparmiatori, che hanno riposto la propria fiducia negli istituti falliti ma anche ai cittadini che chiedono conto del denaro pubblico erogato in soccorso degli uni e degli altri.
Ma facciamo un po’ di chiarezza: come funziona e quali scopi si prefigge la Commissione?
L’articolo 82 della Costituzione stabilisce che ciascuna Camera “può disporre inchieste su materie di pubblico interesse” per il tramite di commissioni – frequentemente bicamerali, cioè composte sia da deputati che da senatori – competenti a procedere “nelle indagini e negli esami con gli stessi poteri e le stesse limitazioni dell’autorità giudiziaria”.
L’oggetto dei lavori della commissione inquirente di cui parliamo sarà il “sistema bancario e finanziario, con particolare riguardo alla tutela dei risparmiatori”: pertanto, appartengono alla sua competenza tutti i casi più recenti ed importanti di crisi bancarie che, pur tramite strumenti diversi, sono state gestite nel contesto delle nuove regole europee ed hanno perciò comportato oneri diretti per azionisti, obbligazionisti e (in casi limitati) correntisti.
I casi Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca
La prima parte dei lavori parlamentari ha interessato i due casi, diversi ma paralleli, di Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca, due tra i maggiori istituti del Nordest posti in liquidazione coatta amministrativa dal Ministero dell’Economia il 25 giugno 2017.
Sul punto è stato sentito, il 2 novembre scorso, il capo della Vigilanza di Banca d’Italia Carmelo Barbagallo: il banchiere centrale ha dato conto di carenze gravissime nella governance, nell’ambito delle quali i prezzi delle azioni sono stati ampiamente sovrastimati, ingenti acquisti di azioni sono stati direttamente finanziati dalla banca e il credito non è stato erogato secondo criteri di correttezza e di solvibilità della controparte.
Per altro verso, il Comprehensive Assessment promosso dalla BCE nel 2014, in vista dell’entrata in vigore del Meccanismo di Vigilanza Unico, ha evidenziato deficit nel patrimonio e operazioni di acquisto di azioni proprie prive delle necessarie autorizzazioni. Dapprima, si ritenne di intervenire tramite il neonato fondo di investimento Altante – il cui capitale è stato fornito dallo stesso sistema bancario, ma con la regia dello Stato e di Cassa Depositi e Prestiti – che sottoscrisse oltre il 99% del capitale dei due istituti: senza però riuscire ad arginare la progressiva perdita di quote di mercato e l’emersione di una porzione sempre più preoccupante di crediti deteriorati.
A questo punto, gli stessi istituti ipotizzano una conversione di obbligazioni subordinate unita ad un aumento di capitale, parzialmente coperto dallo Stato nell’ambito della cosiddetta “ricapitalizzazione precauzionale”: a questo punto Bruxelles ha ritenuto non sussistente un ”interesse pubblico” tale da giustificare un supporto finanziario dello Stato né, a monte, l’avvio di una procedura di risoluzione nell’ambito del Meccanismo Unico.
L’unica strada percorribile per le banche in questione, dunque, era dunque la liquidazione coatta amministrativa ai sensi del Testo Unico Bancario, a seguito della quale la maggior parte delle sofferenze è stata collocata presso Sga (la società di credit management nata negli anni Ottanta a supporto del salvataggio del Banco di Napoli e oggi di proprietà del Ministero dell’Economia) mentre le posizioni attive nei confronti dei clienti e di altre banche sono state acquistate da Intesa Sanpaolo al prezzo simbolico di 1€. Tale ultima operazione è stata resa in concreto possibile tramite un aiuto di Stato sotto forma di apporto diretto di capitale e di garanzie a favore della stessa Intesa Sanpaolo, entrambi coperti da crediti senior sul futuro residuo attivo e approvati dalla Commissione, nella misura in cui è stato dato un “pieno contributo” da parte degli azionisti e obbligazionisti subordinati e sono state evitate nella massima misura possibile le distorsioni della concorrenza.
Proprio l’esame sul dossier delle banche popolari venete ha fatto emergere come gli obiettivi e il modus operandi delle autorità bancarie siano fortemente diversi da quelli che invece muovono Consob, il cui obiettivo principale è non tanto la stabilità del sistema quanto la trasparenza nei confronti del pubblico. Nel caso specifico, la prima sembra aver in parte prevalso sulla seconda: d’altro canto, è proprio il bisogno di trasparenza a creare grandi attese attorno al difficile compito della Commissione.
Di Lara Longinotti
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