Fondo Monetario Europeo: Uno per Tutti, Tutti per Uno?

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Lo scorso 6 dicembre è stato reso pubblico dalla Commissione europea un pacchetto di proposte finalizzato a completare l’integrazione economica dell’area Euro.

Tra queste ha suscitato particolare interesse la creazione del Fondo Monetario Europeo, che sostituirebbe l’attuale Meccanismo Europeo di Stabilità (meglio noto come “fondo salva-Stati”): ferma restando la finalità principale di questo, cioè l’assistenza finanziaria agli Stati membri, il grande passo avanti sta nell’essere il Fme una vera e propria istituzione dell’Unione, dotata di propria personalità giuridica e soggetta ad un pieno controllo giurisdizionale – nonchè a precisi obblighi di dialogo con il Parlamento europeo e con le assemblee legislative nazionali.

A ciò si aggiunge un contesto macroeconomico assolutamente favorevole, caratterizzato da una crescita non elevata ma stabile in tutto il continente: per riprendere l’efficace metafora già utilizzata dal presidente Juncker, “il tetto va sempre riparato quando splende il sole”.

Più precisamente, l’iniziativa assume la forma di una proposta di Regolamento del Consiglio ai sensi dell’articolo 352 del Trattato sul funzionamento dell’Ue, in virtù del quale “Se un’azione dell’Unione appare necessaria, nel quadro delle politiche definite dai trattati, per realizzare uno degli obiettivi di cui ai trattati senza che questi ultimi abbiano previsto i poteri di azione richiesti a tal fine, il Consiglio, deliberando all’unanimità su proposta della Commissione e previa approvazione del Parlamento europeo, adotta le disposizioni appropriate.”. E, se non vi è dubbio che garantire la stabilità finanziaria dell’area Euro – ma anche degli Stati che, pur non avendo adottato l’Euro, aderiscono all’Unione bancaria tramite singoli accordi di stretta cooperazione – rientra pienamente negli obiettivi dei trattati, è altrettanto vero che gli stessi non hanno previsto una base giuridica ad hoc: d’altro canto, le medesime condizioni sono già state vagliate dalla Corte di Giustizia, e con esito positivo, nella sentenza sul caso Pringle contro Irlanda, ove appunto si metteva in dubbio la legittimità della decisione del Consiglio di modificare l’articolo 136 del Trattato al fine istituire il Meccanismo Europeo di Stabilità.

Quali sarebbero le modalità di intervento del nuovo Fondo Monetario Europeo?
Nel progetto dell’esecutivo europeo,  tali modalità sarebbero le stesse previste per il Mes: il sostegno agli Stati membri in difficoltà, l’emissione di strumenti del mercato dei capitali, l’operatività sul mercato monetario, ma anche l’assistenza finanziaria precauzionale, la ricapitalizzazione di enti creditizi, l’erogazione di prestiti e l’acquisto di obbligazioni sul mercato primario e secondario.

Unitamente alla proposta “quadro”, la Commissione ha elaborato anche una bozza di accordo (intergovernativo) per il trasferimento delle quote dal Mes e un progetto di Statuto, contenente aspetti per certi versi rivoluzionari: tale è certamente la previsione di un processo decisionale rapido per i casi di urgenza, e l’adozione a maggioranza qualificata di “specifiche decisioni in materia di sostegno alla stabilità, di esborsi e di attivazione del sostegno”, non concepibile invece nell’ambito di un organo intergovernativo qual è il Mes. Fermo restando, tuttavia, che la responsabilità di ciascun Stato membro “è in ogni caso limitata alla sua quota di capitale”.

In quella sede si ribadisce inoltre che ogni decisione di sostegno alla stabilità finanziaria di uno Stato comporterà la negoziazione, di concerto con la Commissione e la Banca Centrale Europea di un “protocollo d’intesa” finalizzato a definirne le “condizioni politiche”; così come eventuali misure di tipo precauzionale richiederanno l’adozione di politiche interne di prevenzione delle crisi e di rafforzamento dei risultati di bilancio. Più prosaicamente, nemmeno il nuovo Fondo potrà prescindere nei suoi interventi, dalle tanto vituperate “riforme strutturali”.

Tanto più che, oltre che di Fondo Monetario Europeo, la proposta Juncker fa riferimento anche all’istituzione di un “super-ministro” delle Finanze e all’integrazione del Fiscal Compact nel diritto dell’Unione: una misura, quest’ultima, che non piace all’Italia, e che rischia di inasprire ulteriormente il dibattito tra chi, come i paesi del Nord, sostiene da sempre la necessità di una riduzione dei rischi macroeconomici e chi invece vede nella condivisione dei medesimi rischi il vero e necessario completamento dell’Unione economica.

Di Lara Longinotti

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