Eurozona: Condividere o non Condividere, con i Nuovi Strumenti Finanziari
Pochi giorni fa, nelle segrete stanze di Francoforte, è stato compiuto un passo avanti notevole sul tema della gestione del rischio sovrano dellEurozona. Il 29 gennaio la task force sugli “attivi sicuri”, istituita nell’ambito del Comitato Europeo sul Rischio Sistemico, ha pubblicato un approfondimento su nuovi, innovativi strumenti finanziari: le Sovereign Bond-Backed Securities, ottenute, come suggerisce il nome, dalla cartolarizzazione di strumenti di debito pubblico emessi dagli Stati dell’Eurozona, diversamente composte secondo tre livelli di rischio, come pure tradizionalmente avviene nella finanza strutturata.
Il primo fautore della proposta – che apparirà in maggio in un «documento di riflessione» della Commissione Ue sul futuro dell’euro – è il governatore della banca centrale d’Irlanda Philip Lane, presidente della task force e promotore, già durante la crisi del debito del 2011-2012, di un progetto del tutto analogo di “European Safe Bonds”. Allora più che mai, infatti, appariva evidente la pericolosa correlazione tra rischio sovrano e rischio di credito nell’Eurozona: nella misura in cui le banche detengono nei loro portafogli numeri importanti di titoli di Stato,in particolare del proprio Paese di appartenenza, un aumento della pressione dei mercati su quello Stato pone automaticamente a rischio la loro solvibilità.
Simili scelte di investimento hanno radici lontane: se da un lato i vincoli europei alla finanza pubblica mirano essenzialmente ad evitare che i Paesi in surplus paghino per i Paesi in deficit, le regole di Basilea esentano i titoli pubblici dai limiti quantitativi all’esposizione né impongono specifici requisiti di capitale: vale a dire che reputano, nemmeno troppo implicitamente, gli stessi titoli privi di rischi, di fatto dando per scontato un meccanismo di bail-out che però non è normativamente previsto né auspicato dalle autorità deputate a vigilare sui rischi sovrani.
In concreto, la proposta prevede l’acquisto da parte di un ente pubblico o privato (per il tramite di uno Special purpose vehicle) di circa il 60% del totale dei titoli di Stato collocati sul mercato dai Paesi dell’Eurozona, senza cioè che debbano effettuarsi nuove emissioni di debito, in proporzione al PIL di ciascuno di essi. Dopodichè, le obbligazioni saranno sintetizzate in tre tipologie di strumenti a cedola fissa, differenziate in base al rischio ma contenenti ciascuna quote di titoli di tutti e 19 gli Stati membri: la tranche maggioritaria sarebbe quella “senior”, a basso rendimento ma con un rating del tutto paragonabile a quello dei Bund tedeschi, mentre invece le tranches “mezzanine” e (soprattutto) “junior” sarebbero destinate al mercato non bancario, che notoriamente ricerca rendimenti più elevati ed è dunque dotato di strutture capaci di tollerare perdite potenziali più elevate.
Il che porterebbe con sé due vantaggi essenziali: da un lato, apparirebbe sul mercato un’attività di riferimento a basso rischio rappresentativa dell’intera area Euro; dall’altro limiterebbe in maniera notevole l’effetto cosiddetto di “flight to quality”, destinato a verificarsi non (direttamente) a discapito degli Stati finanziariamente più fragili ma, al più, tra le diverse tranches di bond. Non solo, la forte diversificazione ridurrebbe il rischio complessivo a carico di tutti gli istituti di credito dell’Eurozona.
Per altro verso, ogni Stato resterebbe integralmente responsabile del rimborso completo e puntuale delle proprie obbligazioni: un eventuale default inciderebbe pressocchè esclusivamente sulla tranche di titoli ove lo Stato risulta più rappresentato (realisticamente, si tratterebbe di una tranche mezzanine o junior), e non impedirebbe peraltro una corresponsione, benchè parziale, delle cedole.
Come è stato puntualmente sottolineato, infatti, veri e propri Euro-bond non appaiono realizzabili a breve termine: si tratta infatti di una strada giuridicamente accidentata (sarebbe necessaria una modifica del Trattato sul Funzionamento dell’Unione, che il meccanismo di cartolarizzazione invece non richiede) e politicamente non percorribile almeno in questa fase, in quanto legata ad una vera e propria “mutualizzazione” delle regole fiscali – che richiede come tale una legittimazione democratica cui i Paesi europei non sono oggi realmente disposti a rinunciare. In breve, il prezzo di mercato delle Securities si porrebbe come misura della solidità dei bilanci pubblici e come limite all’azzardo morale, non troppo diversamente da quanto accade oggi con lo spread tra i titoli dei diversi Stati.
Certo, la via da percorrere, nell’Eurozona, sembra ancora lunga: a tacer d’altro, andrebbe implementata una regolamentazione tale da equiparare le Securities senior ai titoli di Stato a rischio più basso, mantenendole adeguatamente distinte da quelle meno sicure. Ma, allo stesso tempo, non possono non percepirsi i vantaggi di oltre 5 miliardi di strumenti finanziari liquidi e solidi, capaci di aumentare la stabilità dei mercati a livello mondiale e di porsi come valida alternativa ai titoli del Tesoro americano che oggi dominano incontrastati questo settore dell’offerta.
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