Già poche settimane dopo il suo insediamento, il neo-presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha dimostrato di voler tenere fede agli impegni presi in campagna elettorale – per quanto riguarda la regolamentazione del mercato (non solo ma soprattutto) finanziario.
Era il 2010, nel pieno della crisi finanziaria esplosa nel settembre 2008 con il fallimento della banca d’affari Lehman Brothers, quando l’amministrazione Obama approvò il Wall Street Reform and Consumer Protection Act, meglio noto come Dodd-Frank Act, che impose un drastico cambio di rotta nell’ottica di una riduzione dei rischi e di una maggior tutela degli attori più deboli del mercato finanziario.
Queste, in breve, le maggiori novità introdotte:
– La cosiddetta Volcker Rule, che vieta agli intermediari finanziari di esercitare il trading in forma “proprietaria” cioè servendosi del denaro depositato dai propri clienti, e impone più in generale una separazione netta dell’attività bancaria commerciale (essenzialmente, la raccolta del risparmio e l’esercizio del credito) da quella di investimento;
– L’attribuzione alla SEC (Securities and Exchange Commission) di poteri di regolazione e controllo in materia di derivati Over The Counter, cioè negoziati al di fuori dei mercati regolamentati;
– L’istituzione della Consumer Financial Protection Agency, che risponde al Dipartimento del Tesoro e ha il compito di sorvegliare il mercato delle carte di credito, di debito e dei mutui immobiliari nell’ottica della trasparenza e della protezione dei consumatori; del Financial Stability Oversight Council, competente in materia di rischi sistemici; dell’Office of Credit Ratings, presso la SEC, che vigila sull’operato delle agenzie di rating riconosciute.
Più precisamente, una limitazione del tutto analoga alla Volcker Rule era già prevista nel Glass-Steagall Act del 1933, che rimase in vigore fino al 1999, ed è attualmente allo studio della Commissione e di diverse assemblee legislative in tutta Europa.
La Deregulation di Trump
Al contrario si colloca la linea di Donald Trump, ed è proprio questo uno dei primi punti su cui sembrano concentrarsi i suoi sforzi (e con lui della maggioranza repubblicana, che lo scorso giugno ha approvato alla Camera dei Rappresentanti una prima versione del Financial Choice Act): e anche se gli analisti, primo fra tutti il Wall Street Journal, ritengono poco probabile un eguale successo anche al Senato, la nuova legge rappresenta bene l’agenda dell’attuale amministrazione, che certamente sarebbe pronta ad implementarne alcuni aspetti in altri provvedimenti di dettaglio, se non addirittura tramite gli ormai noti ordini esecutivi.
Il testo legislativo prevede, tra le altre cose, obblighi meno stringenti quanto all’esecuzione degli stress test; una riduzione delle prerogative del Consumer Financial Protection Bureau e l’abolizione dell’Office on Financial Research – un ufficio studi in materia di stabilità finanziaria, che supporta l’attività del Financial Stability Oversight Council; l’applicabilità anche alle banche delle regole ordinarie in materia fallimentare; la perdita della possibilità per le autorità di vigilanza di estendere regole e controlli più stringenti agli intermediari finanziari non bancari di rilevanza sistemica.
La vera novità
Ma la norma che ha suscitato maggiore scalpore, e che rende evidente ancor più delle altre l’allontanamento dalla strada percorsa dalla Bce e dallo stesso Comitato di Basilea, è la riduzione dei requisiti di capitale richiesti a copertura delle esposizioni creditizie: il che comporterebbe un aumento dei dividendi staccati agli azionisti ma anche dei proventi da buyback (il riacquisto di azioni proprie, da anni condizione in misura sempre maggiore l’operatività di Wall Street), che solo per i sei maggiori istituti ammonterebbe a circa 100 miliardi di dollari.
Va da sé che, se le nuove (non) regole incontrassero anche il favore della Camera alta, le banche statunitensi vedrebbero aumentare il già consistente divario che le separa dalle concorrenti europee in termini di migliori rendimenti delle azioni ma anche, in prospettiva, di crescita delle rispettive quote di mercato. D’altro canto, tale ondata di deregolamentazione impensierisce le cancellerie europee – prima fra tutte, naturalmente, la Bce di Mario Draghi – anche per ragioni diverse: se infatti con il Dodd-Frank Act l’amministrazione Obama aveva dimostrato di aver appreso quanto basta dalla tragica crisi dei mutui subprime, l’attuale inversione di rotta rappresenterebbe un ritorno ad un passato recente e tutt’altro che costruttivo.
I commenti sono chiusi, ma riferimenti e pingbacks sono aperti.