Limiti all’Utilizzo del Contante: Storia e Prospettive

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Fedele al suo stile comunicativo tranchant, nelle scorse settimane il ministro dell’Interno ha riportato alla ribalta un tema irrisolto della politica economica italiana: i limiti all’utilizzo del contante (che non dovrebbero esistere – a suo dire).

Per la verità, l’idea che una maggiore libertà nella modalità di esecuzione dei pagamenti di importo anche ingente potesse rilanciare i consumi e la domanda interna non è certo nuova: proprio questo ha indotto il governo Renzi ad innalzare la soglia sino ai tuttora vigenti 3000€, che tuttavia non si applica alle transazioni effettuate presso agenzie di money transfer o tramite assegno – entrambe ancora assoggettate alla soglia di 1000€ fissata dal governo Monti nel 2011. Anzi, l’emissione di assegni privi della dicitura “non trasferibile” per importi superiori comporta l’applicazione di severe sanzioni pecuniarie, e divieti stringenti vigono anche per i libretti di deposito, che dallo scorso anno possono essere emessi esclusivamente in modalità nominativa e non più “al portatore”.

I primi limiti all’utilizzo del contante: gli anni ‘90
Un limite all’utilizzo del contante fu posto per la prima volta nel 1991, 20 milioni di lire poi convertiti in Euro a partire dal 1° gennaio 2002, allo scopo di contrastare l’uso del sistema economico per riciclare i proventi di attività criminose. Dopo un ulteriore aumento, fino a 12.500€ sempre nel 2002, nel 2008 venne ridotto a 5000€ in attuazione di due direttive europee; solo pochi mesi dopo, però, si ritornò ai 12.500€, per poi ripristinare i 5000€ nel 2010 e dimezzarli nel 2011 fino a 2.500.

Tali numerosi aggiustamenti dimostrano quanto il tema sia scottante e capace di muovere il consenso politico: è interessante che proprio un governo tecnico, che pur tra molte difficoltà e contraddizioni ha operato in un’ottica di risanamento dei conti pubblici e di lotta all’evasione fiscale, abbia fissato la soglia al livello più basso in assoluto. E fa riflettere anche il fatto che il ministro dell’Interno abbia lanciato questo nuovo proclama proprio all’assemblea di Confesercenti, al cospetto di una categoria notoriamente favorevole all’uso del contante, vuoi per i costi (va detto, piuttosto esosi, e non a caso oggetto di un Regolamento UE ad hoc) delle transazioni cashless, vuoi per altre ragioni meno commendevoli.
D’altro canto, secondo l’Osservatorio Mobile Payment del Politecnico di Milano, il costo complessivo della produzione, del trasporto, della custodia e della gestione dei contanti ammonta a circa 10 miliardi di Euro l’anno, e questo al netto dei rischi per la sicurezza personale del possessore e del mancato gettito fiscale: circa il 34% delle transazioni in contanti sono riconducibili a fenomeni di economia sommersa, con una sottrazione all’erario di 24 miliardi di Euro.
Insomma, appare evidente la correlazione -ulteriormente dimostrata da un recente studio della European House Ambrosetti, fondato su dati Bce – tra il volume delle operazioni in contanti e quello dell’economia illegale.

Altrove, la promozione dei pagamenti elettronici (e tracciabili)
Certo, si potrebbe discutere su quanto effettivamente una limitazione normativa ai pagamenti cash influisca sullo sviluppo del mercato “in nero”: se è vero che in Europa solo la Repubblica Ceca, oltre all’Italia, applica un simile vincolo, è altrettanto vero che le economie più avanzate del Vecchio Continente, e meno colpite dal fenomeno del sommerso, portano avanti da tempo politiche di promozione dei pagamenti elettronici.
Una strada già tracciata anche dalla seconda direttiva europea sui sistemi di pagamento (direttiva 2015/2366 del Parlamento europeo e del Consiglio, meglio nota come PSD-2).

Certo è che, in un’epoca in cui gli stessi social network stanno facendosi strada nel mondo dei pagamenti – in qualità di Third Party Players, abilitati per l’accesso ai conti ma non mai all’intermediazione diretta di fondi – una discussione sul ritorno al contante suona come anacronistica. Senza contare poi che, al di là della reale incidenza pratica di un eventuale provvedimento normativo in questa direzione (la percentuale di pagamenti cash effettuati all’interno di uno Stato dipende da fattori diversi e molteplici, anche di natura culturale) il rischio è quello di lanciare un messaggio pericoloso, di disimpegno delle istituzione sulla lotta all’evasione fiscale e al lavoro irregolare.

Di Lara Longinotti

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