Lo status di PMI innovative può essere assunto dalle imprese che operano nel campo dell’innovazione tecnologica, a prescindere dalla data di costituzione, dall’oggetto sociale e dal livello di maturazione.
In particolare, possono rientrare nella categoria delle PMI innovative le piccole e medie imprese che impiegano meno di 250 persone e il cui fatturato annuo non supera i 50 milioni di euro, o il cui totale di bilancio non supera i 43 milioni di euro, costituite come società di capitali, anche in forma cooperativa, con l’ultimo bilancio certificato e caratterizzate da alcuni parametri, quali volumi di spesa in ricerca e sviluppo, impiego di personale con dottorato di ricerca e titolarità di privative industriali.

Le rispettive discipline relative a startup e PMI innovative presentano numerosi punti di contatto, ma anche differenze sostanziali.
Il legislatore ha delineato una disciplina “su misura” per le start up innovative anche in tema di gestione del rapporti di lavoro al fine di garantire loro un sostegno concreto nella fase più critica di avvio e per agevolarne il consolidamento e la crescita. Una importante agevolazione è rappresentata dalla non applicabilità del limite del 20% previsto per le assunzioni a tempo determinato rispetto al numero complessivo di lavoratori a tempo indeterminato. Ulteriori benefici riguardano la possibilità di rinnovare i contratti a tempo determinato senza dover rispettare il periodo c.d. di stop and go e la concessione di un credito di imposta per l’assunzione di personale altamente qualificato.
Con il D. L. n. 179/2012, convertito in legge n. 221/2012, il legislatore italiano, sotto l’influenza di numerose pressioni, anche di fonte europea, ha introdotto una normativa organica tesa a favorire lo sviluppo di realtà imprenditoriali caratterizzate da una componente ad alto valore tecnologico.

La nozione di start up innovativa
Il c.d. Decreto Crescita 2.0 prevede agevolazioni su più fronti sia per gli imprenditori che costituiscano start up innovative, sia per le PMI innovative già esistenti.
Per qualificarsi come start up innovativa, e godere così dei benefici garantiti dal Decreto Crescita 2.0, la nuova impresa deve potersi iscrivere nell’apposita sezione speciale del registro delle imprese di cui all’art. 2188 cod. civ. A tal fine essa deve in primo luogo essere costituita come società di capitali – anche in forma cooperativa – e le azioni o quote di questa non devono risultare quotate in mercati regolamentati.

L’impresa deve poi presentare le seguenti caratteristiche:
– essere attiva da non più di cinque anni;
– non superare i 5 milioni di euro di fatturato annuo;
– avere la sede principale in Italia o in un Paese dell’Unione Europea (purché sia presente anche una sede in Italia);
– non aver distribuito utili;
– avere, come oggetto sociale esclusivo o prevalente, lo sviluppo e la commercializzazione di prodotti e servizi innovativi ad alto valore tecnologico;
– non derivare da fusione, scissione o da cessione di azienda o di ramo di azienda.

Accanto a tutti questi requisiti definibili cumulativi, l’impresa deve altresì possedere almeno uno dei seguenti requisiti alternativi, che rappresentano un indice per individuare la presenza dell’elemento dell’innovazione tecnologica:
– sostenere spese di ricerca e di sviluppo in misura almeno pari al 15% del maggiore tra costo e valore totale della produzione (tra queste spese rientrano espressamente anche i costi lordi per personale interno e consulenti esterni impiegati in tali attività e quelle per servizi resi da incubatori certificati);
– impiegare, sia come dipendenti che come collaboratori, per almeno 1/3 della forza lavoro complessiva dottorati, dottorandi o laureati che abbiano svolto ricerca per almeno 3 anni presso istituti pubblici o privati (anche esteri) oppure, per almeno 2/3, personale in possesso di laurea magistrale;
– essere titolare o depositaria o licenziataria di una privativa industriale su una invenzione industriale, ovvero titolare di un software registrato, purché inerenti all’oggetto sociale.

I requisiti appena elencati (sia quelli cumulativi che quelli alternativi) sono altresì richiesti per le PMI innovative già esistenti, le quali devono essere in possesso di almeno un bilancio certificato, avere meno di 250 dipendenti e un fatturato annuo inferiore ai 50 milioni di Euro.
Inoltre, con riferimento ai criteri “alternativi” su cui valutare la vocazione tecnologica dell’impresa, possono rilevarsi alcune lievi differenze rispetto a quelli previsti per le start up: su tutte, la spesa in attività di ricerca e di sviluppo deve essere pari almeno al 3% del maggiore tra costo e valore totale della produzione (contro il 15% richiesto per le start up).

Inoltre, la forza lavoro complessiva deve essere composta per almeno 1/5 da dottorandi, dottorati o laureati con almeno 3 anni di esperienza in attività di ricerca certificata presso istituti di ricerca pubblici o privati, in Italia o all’estero e o per almeno 1/3 del personale deve essere in possesso di laurea magistrale.

Disciplina specifica in materia di lavoro
Come anticipato, in favore tali forme societarie il legislatore nel 2012 ha introdotto una serie di disposizioni in tema di rapporti di lavoro, appositamente dedicate a queste realtà e a loro riservate, in deroga alla disciplina ordinaria, che rappresentano delle indubbie agevolazioni.
Il primo dei benefici in ambito giuslavoristico riguarda la disciplina dei contratti di lavoro a tempo determinato.
In proposito, inizialmente (al momento dell’entrata in vigore del Decreto Crescita 2.0) l’agevolazione – sicuramente tra le più rilevanti – riguardava la possibilità di stipulare contratti a tempo determinato senza dover indicare la causale. Tuttavia, come noto, attualmente tale onere è venuto meno in relazione a tutte le assunzioni a tempo determinato.
Oggi, l’agevolazione riconosciuta alle start up riguarda la possibilità di sforare il tetto delle assunzioni a termine previsto per la generalità dei datori di lavoro.
Più precisamente, con l’entrata in vigore del D. Lgs. n. 81/2015 – che è intervenuto anche sull’art. 28 del D. L. n. 179/2012 in commento – è stato disposto che le start up innovative non soggiacciono al limite del 20% per le assunzioni a tempo determinato rispetto al numero complessivo di lavoratori a tempo indeterminato.
In questo modo, quindi, l’imprenditore che innova è premiato con la possibilità di valutare decisamente con più libertà il fabbisogno di personale in relazione all’andamento della propria attività commerciale.
Ulteriore beneficio introdotto in favore delle iniziative imprenditoriali in esame riguarda la disciplina delle proroghe dei contratti a termine.

Se da una parte anche per le start up innovative vige il limite della durata massima complessiva dei contratti a termine, pari a 36 mesi, dall’altra le stesse sono libere di rinnovare i contratti a tempo determinato senza dover rispettare il periodo c.d. di stop and go di 10 o 20 giorni che per la generalità dei datori di lavoro deve intercorrere tra un’assunzione e che, inoltre, a queste non si applica il limite massimo di 5 proroghe dei contratti a termine nell’arco dei 36 mesi.

Si precisa, inoltre, che anche per le start up è prevista la possibilità di rinnovare, per una sola volta e per un periodo non superiore a 12 mesi, un contratto a termine che abbia superato il limite complessivo dei 36 mesi.
Delle agevolazioni appena descritte, comunque, le start up possono avvantaggiarsi per un arco temporale definito, pari a 4 anni in caso di imprese appena costituite, a 3 anni se la start up è già costituita da 3 anni e a 2 anni in caso di Start up operativa già da 4 anni.

Accanto alla semplificazione nel ricorso allo strumento dei contratti a termine, l’art. 28 del Decreto Crescita 2.0 detta poi alcune regole peculiari in tema di retribuzione dei lavoratori di una start up innovativa.
In particolare, queste deve essere composta necessariamente da una parte fissa e da una variabile.
Con riferimento alla parte fissa, da un lato la normativa in questione ha previsto che questa non possa essere inferiore ai minimi tabellari previsti dal CCNL di categoria applicato. Dall’altro, tuttavia, essa attribuisce ai CCNL stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative il potere di definire (in via diretta oppure delegando ai livelli decentrati) criteri per la rideterminazione di minimi tabellari specifici per le start up, al fine di promuoverne lo sviluppo durante le fasi di avvio.
Inoltre, va segnalato che alla contrattazione collettiva è riconosciuta anche la facoltà di introdurre disposizioni ad hoc per le start up innovative su altri aspetti relativi alla gestione del rapporto di lavoro, al fine di adattarle alle esigenze di queste imprese.
In merito alla parte variabile, si prevede che sia parametrata a indici quali l’efficienza o la redditività dell’impresa, la produttività del lavoratore o del gruppo di lavoro, ovvero ad altri obiettivi o parametri concordati preventivamente tra le parti, tra i quali è possibile prevedere l’assegnazione di stock options o la cessione gratuita di quote o azioni della Società.

Ulteriori incentivi
Al fine di incentivare ulteriormente l’effettivo ricorso a questa modalità di remunerazione, la normativa ha riconosciuto un ulteriore beneficio alle start up innovative stabilendo che il reddito di lavoro, derivante dall’assegnazione di strumenti finanziari o diritti similari emessi dalla start up (o da una società da questa controllata), quale parte variabile della retribuzione, non concorre a formare il reddito imponibile sia ai fini fiscali che contributivi. Tale agevolazione è tuttavia concessa a condizione che tali strumenti finanziari o diritti non siano stati riacquistati dalla start up innovativa o da qualsiasi altro soggetto che direttamente controlla o è controllato dalla stessa o dallo stesso soggetto che controlla la start up innovativa.
L’ultimo incentivo, contenuto nell’art. 27-bis del citato Decreto, riguarda la concessione di un credito di imposta, di importo pari al 35% del costo aziendale sostenuto per l’assunzione di personale altamente qualificato a tempo indeterminato, anche con contratto di apprendistato.
Si segnala che, per espressa previsione del D. L. n. 3/2015, convertito con L. n. 33/2015, alle piccole e medie imprese innovative si applica esclusivamente la disposizione secondo cui il reddito di lavoro, derivante dall’assegnazione di strumenti finanziari o diritti similari emessi dalla start up (o da una società da questa controllata), quale parte variabile della retribuzione, non concorre a formare il reddito imponibile sia ai fini fiscali che contributivi.

Considerazioni conclusive
Con la normativa appena descritta il Legislatore ha cercato di delineare una disciplina “su misura” per le start up innovative, con l’obiettivo di differenziarle in qualche modo dalle PMI innovative e di dare un sostegno concreto alle imprese di nuova creazione nella fase più critica di avvio, al fine di agevolare il loro consolidamento e la loro crescita. Dietro questo intervento è possibile individuare la chiara volontà di puntare con decisione, per il rilancio dell’economia del Paese, su queste particolari realtà imprenditoriali tipicamente a iniziativa di soggetti giovani, rendendole competitive attraverso le misure sopra illustrate. L’intento del legislatore sembra aver trovato, nel corso soprattutto dell’ultimo anno, un vasto e positivo riscontro. Il report elaborato da Unioncamere, che riunisce le Camere di Commercio italiane, alla fine del 2016 testimonia infatti un trend decisamente in crescita sia in relazione all’ingresso che alla stabilizzazione sul mercato di imprese innovative, con effetti positivi anche da un punto di vista occupazionale, fornendo quindi nuove e crescenti opportunità ai giovani.